Michele Di Lieto, magistrato in pensione e scrittore, sul matrimonio “5 stelle – Lega”, la pensa così

 

Riceviamo dal dott. Michele Di Lieto, vecchio collaboratore de “Il Sud”(cartaceo),

ed autore di un volume di Memorie in corso di pubblicazione,

un brano estratto da quel testo al quale diamo spazio per il valore

di attualità e in nome di una antica amicizia.

E qui, per restare in tema e collegarmi a quanto ho sopra scritto sulla mia passione svilita anche per la politica, voglio soffermare la mia attenzione, e quella del lettore, sugli eventi che si sono succeduti a partire dal 4 di marzo, giorno delle ultime elezioni. Si intuiva da quel che ho detto,  anche se non è detto chiaramente, che io avrei votato, come ho votato, M5S: sì che il mio voto è andato ad aggiungersi a quei milioni di elettori che avevano sempre votato a sinistra, e che, non sentendosi più rappresentati da alcun partito, o sono rimasti a casa rinunciando al diritto di voto, o hanno finito per votare M5S, contribuendo a un risultato non previsto dai più ottimisti dei suoi fautori. Quello che, invece, era detto chiaramente, era l’imprevisto, e imprevedibile, successo della Lega che si affiancava a quello del M5S, e tagliava il paese in due, il nord alla Lega, il sud al M5S. Dicevo pure che non avrei voluto calarmi nei panni del Capo dello Stato che, secondo costituzione, avrebbe dovuto designare il Capo del Governo, salvo a designarne non più uno ma due, uno per il nord l’altro per il sud d’Italia. Ma, a parte gli scherzi, non prevedevo assolutamente che le due forze politiche, Lega e M5S, si offrissero esse stesse a un accordo, o “contratto”, che, eliminando i punti di contrasto, e riducendo il confronto ai soli punti in comune, costituisse la base del futuro programma di governo. Soluzione, quest’ultima, che, pur essendo rispettosa (la più rispettosa) della volontà popolare, due essendo i vincitori, entrambi interpreti di una volontà di cambiamento, e non mancando nei loro programmi punti in comune, avrebbe sicuramente sacrificato quella parte di elettori che, avendo votato M5S perché non si sentivano più rappresentati da partiti di sinistra, tutto avevano previsto fuor che di dar vita, o di contribuire a dar vita a un governo di destra (che la Lega sia un partito di destra non c’è dubbio per alcuni; che nel rapporto appena insorto la Lega abbia un posto privilegiato, è affermato da altri). In conclusione: il mio voto (anche il mio voto) è andato perso. Ma se questo dovesse contribuire alla nascita di un nuovo governo (e il nostro Paese ha bisogno di un nuovo governo per i problemi irrisolti che si trascinano da tempo), ben venga il nuovo governo, sicuramente rappresentante di una volontà di cambiamento, altrettanto sicuramente non portatore solo di interessi di sinistra (ogni accordo, ogni “contratto” è il frutto di un compromesso, e il compromesso non può mettere a tacere gli interessi della controparte) (omissis).

Come appare evidente, il brano  sopra riportato è stato scritto quando la crisi pareva superata, superato ogni contrasto, il governo “politico”, frutto di un accordo tra forze politiche diverse condensato e consacrato in un contratto, pronto ad operare. E, come pure appare evidente, il brano è ispirato a moderato ottimismo, come deve essere quello di chi crede nei giovani, di chi diffida della sola esperienza, di chi fida comunque nel cambiamento. Sennonché, le cose sono cambiate nel giro di pochi giorni, anzi di poche ore, dando vita a un balletto di voci, a una ridda di ipotesi, a una serie di contrasti che avrebbero scoraggiato il più ottimista degli analisti. La pietra dello scandalo è scoppiata su un nome, anzi su due: prima su quello del Capo di governo designato, prof. Giuseppe Conte, docente di diritto privato, il cui curriculum, sottoposto ad esame microscopico, ha rivelato difetti inconsistenti, qualcuno li ha chiamati peccati veniali, che non hanno impedito al professore, che è anche avvocato, di dichiararsi pronto ad accettare come difensore del popolo italiano (e qui un’altra caterva di accuse da chi si è sentito offeso come parte di un popolo che non aveva motivo di essere difeso: questo a dimostrazione della debolezza delle accuse, tutte

pretestuose). Il secondo nome è quello del prof. Paolo Savona che, nella squadra di governo, avrebbe dovuto occupare il Ministero degli affari economici, ministero certamente di rilievo, ancor più se il paese da governare è un paese indebitato come il nostro. Ora, del professor Savona non è stata messa in dubbio la capacità, non è stata messa in dubbio la competenza, non è stata messa in dubbio la rete di conoscenze (anche a livello internazionale) che ne avrebbe fatto sicuramente un buon Ministro: è stata messa in dubbio la bontà delle sue idee, essendo il professore non particolarmente tenero, ma non è il solo, nei confronti dell’Europa e della moneta europea. Come fu come non fu, chiunque abbia suggerito (o imposto) la scelta, dall’interno o dall’estero (la verità non si saprà mai), il Capo dello Stato pose il veto sul nome di Paolo Savona, considerato insostituibile dalla Lega e dal M5S, e il prof. Giuseppe Conte, Capo del governo incaricato, dovette rinunciare all’incarico. Successe il finimondo. Tramontata l’idea di un governo “politico” si affacciò subito l’idea di un governo “tecnico” da affidare a chi fosse disposto, come extrema ratio, a portare il paese a nuove elezioni. Così venne fuori il nome di Paolo Cottarelli. Ma il fuoco continuava a covare sotto la cenere. E chi doveva tenerla bene attaccata sul collo, finì per perdere la testa. Più di ogni altro la perse Luigi Di Maio, capo politico dei penta stellati, che si lanciò in una serie di accuse contro il Presidente della Repubblica, arrivando a teorizzare l’alto tradimento che giustifica la messa in stato di accusa: cosa inaudita che dimostra non solo l’incompetenza, ma la mancanza assoluta di equilibrio di un leader, premiato da undici milioni di voti (e, non per dire, anzi per dirla sino in fondo, tra quei milioni di voti c’era anche il mio). Cominciò la serie di voci, conferme, smentite, di incontri, effettivi o presunti, di accordi tentati, a parole e per iscritto, di incarichi, tecnici o politici, già conferiti o da conferire, di colloqui, formali o informali,  tutto questo a distanza di ore, anzi di minuti, sotto lo sguardo vigile della televisione, che metteva a nudo l’evento, con diecine di cronisti, altrettanti analisti, altrettanti non so che, pronti a intervenire dal vivo, e di minuto in minuto, dal Quirinale, dalla Camera, dal Senato, per commentare una frase, o carpire una voce, come si trattasse di una diretta sportiva o  di un altro show televisivo. Si cominciò a parlare di uno scontro in atto (tra capo di Governo incaricato, forze parlamentari che lo avevano  sostenuto, e Presidente della Repubblica) drammatico, incredibile, inaudito, di uno scontro istituzionale dal quale più non si sapeva come ne saremmo usciti. Uno scontro dal quale emergeva, come dato immediato, l’estrema incertezza, o l’estrema volubilità dei protagonisti. Di Di Maio si è detto. Ma anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, non pareva esente da colpe, con quelle improvvise inversioni di rotta e quella nomina affrettata di Carlo Cottarelli a capo di un governo tecnico, incaricato e prontamente messo in frigo, coi suoi ministri, in attesa di non so che evento o qual suggestione. E qui mi fermo, mi fermo a Luigi di Maio e a Sergio Mattarella, senza trascurare il lavoro, dietro le quinte, di altri componenti la maggioranza politico parlamentare, senza trascurare l’intervento, che pure ci sarà stato, di altre autorità dello Stato. Pareva insomma che tutti fossero legittimati a intervenire, pareva, dalle proposte, che avessero tutti perso la bussola. Tanto più che, accanto alle turbolenze politiche, si muovevano i mercati. Nel giro di due giorni porzione di tre il crollo improvviso della Borsa, l’ascesa inarrestabile dello spread: non di pochi punti, ma di decine o centinaia di punti, tanto da far perdere la testa al più incallito degli operatori. Tra i pochi che non abbiano perso la bussola mi parve (ancora mi pare) Beppe Grillo, il comico fondatore del M5S, che tanto impolitico non è, se interviene al momento opportuno, e fa rilievi, muove obiezioni, dà soluzioni degne di un politico consumato. Di fronte alle mirabolanti farneticazioni di Luigi Di Maio, Beppe Grillo invitòDi  Maio e i suoi a non parlare più di conflitto,

tanto meno  di messa in stato di accusa, ma solo di scontro politico, scontro aspro, scontro duro, ma sempre politico, scontro che aveva proprio il pregio di riaffermare il valore della politica per lungo tempo trascurata. Sarà stato Beppe Grillo, sarà stato non so chi, certo è che Luigi Di Maio, che un giorno prima aveva lanciato accuse di fuoco contro il Presidente della Repubblica, il giorno dopo chiedeva di essere ricevuto proprio dal Capo dello Stato, dichiarandosi disposto ad offrire la propria collaborazione per un governo politico, e riproponendo in sostanza lo stesso governo, prima rifiutato da Mattarella, col trasferimento del prof. Savona dal Ministero dell’economia ad altro incarico nello stesso governo. Il tentativo per nostra fortuna è andato a buon fine. Non so di chi sia stato il merito: se del capo dei cinque stelle, se del capo della lega, se del capo dello Stato, se di Beppe Grillo, se dei mercati. Non so neppure che farà il nuovo Governo. Non mi interessa saperlo. Mi interessa la entità della crisi che ha investito le istituzioni, e mi torna alla mente la visione pessimistica sulla classe politica e sulla società che ci circonda. Mi torna alla mente l’immagine, diramata dalla tivù a milioni di cittadini, di diecine di cronisti assiepati nell’anticamera del salone nel quale si svolgeva l’incontro tra Capo dello Stato e non so chi, forse il presidente incaricato, incerti (i cronisti) se dare per scontata l’uscita dal palazzo del presidente incaricato (come sembrava indicare la improvvisa scomparsa dei corazzieri messi lì a proteggere la segretezza dei colloqui ufficiali del capo dello stato), o ritenere l’incontro ancora in corso (come poteva desumersi dalla mancanza di qualsiasi nota formale): immagine che, in quel momento, mi ha fatto pensare alla bussola smarrita anche nei corridoi del Quirinale,  e alla solitudine del Capo dello Stato (e che ci voleva a mandare qualcuno fuori della porta per una comunicazione ufficiale, e che ci fanno diecine di consiglieri, assistenti, segretari del Quirinale, se pure di una nota deve occuparsene il Capo). Il lato positivo  (spero non sia il solo) che emerge dall’affare è invece dato dal prof. Carlo Cottarelli, designato a Capo di un governo tecnico al quale ha poi rinunciato. Professor Cottarelli al quale bisognerebbe essere grati, non foss’altro per la sua riservatezza, come bisognerebbe essere grati a tutti i tecnici che si erano detti disponibili ad accettare l’incarico e tale impegno hanno mantenuto, sino a che, andate a buon fine le trattative per la formazione del governo politico, lo stesso professor Cottarelli non vi ha rinunciato. Ecco: del professor Cottarelli mi pare di poter dire che in questa vicenda è stato, quanto meno mi è apparso, il solo servitore dello Stato. Nel senso che al termine attribuisce gran parte del popolo italiano.