la giustizia e la riforma penale, ma davvero finiranno le mostruosità?

Alcuni lettori ci hanno chiesto ragguagli sulla Riforma del processo penale, qui di seguito vengono riportati degli articoli in merito, pubblicati dal sito della studio Cataldi, buona lettura.

 

https://www.studiocataldi.it/articoli/42547 -il-nuovo-processo-penale-in-10-punti.asp

 

La riforma del processo penale in 10 punti

Lucia Izzo | 04 ago 2021

Le principali modifiche introdotte con la riforma Cartabia. Ecco come cambia il processo penale in dieci punti

 

Processo penale: come cambia con la Riforma

Il disegno di legge A.C. 2435 “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello”, ovvero la c.d. Riforma del processo penale, ha incassato la doppia fiducia da parte della Camera.

Leggi: Riforma processo penale: ok della Camera alla fiducia

La prima fiducia, posta dall’Esecutivo sulle norme immediatamente operative della riforma, ha ottenuto 462 sì, 55 no e 1 astenuto); la seconda, invece, riguardante le norme relative alla delega al Governo, ha ricevuto 458 voti a favore, 46 no e 1 astenuto. A seguito del voto finale, il provvedimento passerà all’esame del Senato.

 

La Riforma Cartabia, anche in relazione agli impegni assunti con il Pnrr, mira in particolare ad accelerare il processo penale, anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione, ma detta misure anche per potenziare le garanzie difensive e le misure a tutela delle vittime del reato. Non manca, inoltre, un’articolata disciplina concernente la ragionevole durata del giudizio di impugnazione, del quale è prevista l’improcedibilità in caso di eccessiva durata. Ecco come cambierà il processo penale.

  1. Giustizia riparativa: quali sono le novità introdotte?

L’articolo 1, comma 18, detta principi e criteri direttivi per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa che manca nel nostro ordinamento, nonostante vi siano diversi istituti e previsioni orientati alla partecipazione attiva di vittima e autore del reato.

 

Tuttavia, si tratta di previsioni isolate e non coordinate e per questo la riforma intende delegare il Governo ad adottare una disciplina organizzata, nel solco tracciato dalla Direttiva 2012/29/UE che ha fornito norme minime per guidare i diversi paesi membri nell’adozione di strumenti di “restorative justice”.

 

In particolare, tale direttiva definisce la giustizia riparativa come “qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale”.

La delega al Governo

Il Governo si occuperà di definire la nozione di giustizia riparativa, l’articolazione in programmi, i criteri di accesso, le garanzie, la legittimazione a partecipare, le modalità di svolgimento e la valutazione degli esiti dei programmi, ferma restando la necessaria rispondenza degli stessi all’interesse della vittima e dell’autore del reato.

 

Verrà introdotta nell’ordinamento la definizione di vittima del reato considerando tale anche il familiare di una persona la cui morte è stata causata da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona e definire a tale scopo il familiare.

 

Ai programmi di giustizia riparativa si potrà accedere in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l’esecuzione della pena, senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità, previo consenso libero e informato della vittima e dell’autore del reato e della positiva valutazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’utilità del programma in relazione ai criteri di accesso. Verranno previste specifiche garanzie per l’accesso ai programmi di giustizia riparativa e per il loro svolgimento .

 

L’esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa potrà essere valutato sia nel procedimento penale che in sede esecutiva e un esito negativo non avrà effetti negativi a carico della vittima o dell’autore del reato nel procedimento penale o in sede esecutiva.

  1. I tempi per le indagini preliminari come sono cambiati? A cosa serve l’iscrizione retrodatata?

[Torna su]

Si prevede la rimodulazione dei termini di durata delle indagini preliminari in funzione della natura dei reati per cui si procede. La riforma incide sia sulla durata ordinaria delle indagini che su quella massima (ossia sul regime delle proroghe).

 

Più nel dettaglio, viene stabilito il seguente regime di durata ordinaria delle indagini, che si calcola dalla data in cui il nome della persona cui il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato:

– sei mesi per le contravvenzioni;

– un anno per la generalità dei delitti;

– un anno e sei mesi per i procedimenti relativi ai delitti contemplati dall’articolo 407, comma 2, c.p.p. (reati di particolare gravità).

 

Prevista la possibilità di una proroga che potrà essere richiesta una volta soltanto, per un lasso di tempo non superiore a sei mesi, qualora la proroga sia giustificata dalla gravità delle indagini.

 

La tardiva iscrizione nel registro della notizia di reato ha conseguenze sulle indagini preliminari e per questo la riforma introduce un meccanismo di verifica, su richiesta di parte, sui presupposti per l’iscrizione. Viene consentito al giudice di accertare la tempestività dell’iscrizione stessa e di retrodatarla nel caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo. Per proporre la richiesta di retrodatazione verrà previsto un termine a pena di inammissibilità. L’interessato che chiede la retrodatazione avrà l’onere di indicare le ragioni alle basi della richiesta.

“La ragionevole previsione di Condanna” sostituisce il criterio della idoneità a sostenere l’accusa.

Sempre in materia di indagini preliminari e udienza preliminare, la riforma incide sui criteri decisori di cui agli articoli 125 disp. att. c.p.p. e 425, comma 3, c.p.p. che dettano la regola di giudizio per l’archiviazione e per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.

 

Il criterio dell’inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio, previsto sia per giustificare la pronuncia da parte del giudice della sentenza di luogo a procedere sia per la richiesta di archiviazione del P.M., viene sostituito con quello dell’inidoneità dei medesimi elementi a consentire una “ragionevole previsione di condanna”.

  1. I criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale saranno fissati con legge del Parlamento

[Torna su]

In diverse occasioni è stata da più fronti evidenziata la necessità di individuare criteri di priorità nella trattazione degli affari penali negli uffici, in considerazione della concreta e sempre più diffusa estrema difficoltà di procedere, nello stesso modo e secondo gli stessi tempi, alla trattazione di tutti gli affari pendenti.

 

L’obiettivo è quello di razionalizzare l’allocazione delle scarse risorse disponibili per la trattazione dei procedimenti penali, evitando sia l’affidamento delle scelte di trattazione alla valutazione, caso per caso, del magistrato operante, sia il fatalistico abbandono al criterio della pura casualità.

 

Alcune precisazioni sono fornite dall’art. 132 disp. att. c.p.p., che introduce indicazioni vincolanti per gli uffici giudicanti in tema di formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi, con attribuzione di priorità assoluta a talune tipologie di reato connotate da speciale gravità. I singoli uffici si sono poi affidati a direttive interne fornite dal procuratore capo per orientare l’operato dei pubblici ministeri. Il CSM è poi intervenuto in diverse occasioni per orientare l’operato degli uffici.

 

Per le difficoltà riscontrate, la riforma del processo ha dunque deciso di intervenire anche in materia di criteri per la selezione delle notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, ritenendo che nell’architettura costituzionale le valutazioni di politica criminale non possano che essere affidate al Parlamento.

 

Si prevede dunque l’elaborazione di criteri generali che verrà affidata a una legge del Parlamento. Poi, nell’ambito di tali criteri, gli uffici del pubblico ministero individueranno criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, tenuto conto del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili.

 

La procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica dovrà essere allineata a quella delle tabelle degli uffici giudicanti.

  1. Il patteggiamentocome cambia?

[Torna su]

Nel progetto di riforma dei riti alternativi, con effetti deflattivi del rito dibattimentale, si innestano i ritocchi all’art. 444 c.p.p. quanto ai presupposti per accedere all’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento).

 

Nell’esercizio della delega per riforma del processo penale, il Governo dovrà prevedere che, in tutti i casi di applicazione della pena su richiesta, l’accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e ammontare. Solo nel caso in cui la pena detentiva da applicare superi due anni, invece, l’accordo tra imputato e pubblico ministero potrà estendersi alle pene accessorie e alla loro durata.

 

Per ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, si prevede anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi.

  1. Come cambia l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento?

[Torna su]

Esigenze di deflazione sono alla base anche della riforma proposta per il sistema delle impugnazioni. Il Governo viene delegato a estendere le attuali ipotesi di inappellabilità delle sentenze.

 

Attualmente, per quanto riguarda la sentenze di proscioglimento, è previsto siano inappellabili quelle relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa (ammenda o arresto).

 

Al legislatore delegato è affidato il compito di estendere l’inappellabilità anche delle sentenze di proscioglimento pronunciate in relazione a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa (multa o reclusione).

  1. La querela a cosa è stata estesa?

La riforma interviene anche sulle condizioni di procedibilità, a partire dall’ampliamento dell’ambito di applicazione della procedibilità a querela.

 

In primis, la riforma prevede di introdurre la procedibilità a querela anche per il reato di lesioni stradali colpose gravi previsto dall’articolo 590-bis, primo comma, c.p. e, nel corso dell’esame in sede referente, si è esteso tale regime di procedibilità alle lesioni stradali colpose gravissime.

 

Ancora, il Governo è delegato ad estendere il regime di procedibilità a querela di parte ad ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio, individuati nell’ambito di quelli puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni. Si specifica, inoltre, che, ai fini della determinazione della pena detentiva, non si dovrà tenere conto delle circostanze del reato e che occorrerà comunque fare salva la procedibilità d’ufficio – a tutela di soggetti deboli – quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità.

  1. Come viene estesa l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?

[Torna su]

Spinge alla deflazione dei procedimento penali anche il potenziamento dell’istituto della non punibilità per tenuità del fatto, che dovrebbe consentire di ridurre le ipotesi nelle quali il procedimento penale giunge al dibattimento.

 

Sposando una proposta avanzata da diversi studiosi e commissioni di studio, la riforma mira a estendere l’ambito di applicazione dell’art. 131-bis c.p. (facendo riferimento non più al limite massimo bensì al limite minimo edittale) a quei reati puniti con pena edittale non superiore nel minimo a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria.

 

Tuttavia, se ritenuto opportuno sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di coerenza sistematica, il Governo potrà precludere l’accesso all’istituto in presenza di per specifici reati. Dell’istituto non si potrà mai beneficiare, invece, in caso di reati riconducibili alla violenza nei confronti delle donne e violenza domestica.

  1. Cosa si è fatto per la sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato?

Il Governo è altresì delegato a estendere l’ambito di applicabilità dell’istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato (di cui all’art. 168-bis c.p.) a specifici ulteriori reati, oltre a quelli già previsti.

 

Si punta a estendere l’ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova attraverso il richiamo alla citazione diretta a giudizio di cui all’art. 550, comma 2, c.p.p., a reati che siano puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a 6 anni e che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore, compatibili con l’istituto.

 

Inoltre, si punta a rendere possibile che a richiedere la messa alla prova dell’imputato possa essere anche il pubblico ministero, non potendo comunque prescindere dal consenso dell’imputato.

  1. Come funziona il nuovo sistema delle notificazioni all’imputato?

Mirano a bilanciare le esigenze di velocizzazione del procedimento con quelle di mantenere elevate garanzie difensive i principi e criteri direttivi previsti per modificare la disciplina delle notificazioni all’imputato non detenuto.

 

In particolare, è previsto che debbano essere effettuate personalmente all’imputato soltanto la prima notificazione, quella in cui egli prende conoscenza del procedimento a suo carico, e quelle relative alla citazione a giudizio in primo grado e in sede di impugnazione.

 

Tutte le altre potranno essere effettuate al difensore di fiducia, al quale l’imputato avrà l’onere di comunicare i propri recapiti e nel primo atto notificato all’imputato andrà inserito apposito avviso relativo a tale evenienza.

 

L’imputato avrà quindi l’onere di indicare al difensore, e costantemente aggiornare, un recapito idoneo, anche telefonico o telematico, al quale potranno essergli inoltrate le successive comunicazioni. L’omessa o ritardata comunicazione all’assistito da parte del difensore, per causa imputabile al medesimo assistito, non costituirà inadempimento degli obblighi derivanti dal mandato professionale del difensore.

  1. Come funziona la nuova improcedibilità

Particolarmente importanti sono le disposizioni, immediatamente prescrittive, relative all’istituto dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, di cui al nuovo 344-bis del codice di rito.

 

termini di durata massima dei giudizi di impugnazione vengono fissati, rispettivamente, in 2 anni per l’appello e un anno per il giudizio di cassazione e la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporterà la declaratoria di improcedibilità dell’azione penale.

Proroghe ai termini di durata massima

Per tutti i reati sarà possibile per il giudice disporre una sola proroga di un anno per il giudizio di appello e di 6 mesi per il giudizio in Cassazione, raggiungendo così la durata massima di 3 anni per l’appello e di 1 anno e 6 mesi per la Cassazione, sempre che ricorrano i motivi che giustificano la proroga.

 

Disciplina particolare è prevista, invece, per alcuni delitti particolarmente gravi. In primis, per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso, di violenza sessuale aggravata e di traffico di stupefacenti, non è fissato un limite di durata in quanto il termine base potrà essere prorogato, per ragioni inerenti la complessità del giudizio, con successive proroghe, senza limiti di tempo.

 

Invece, per i delitti aggravati dal metodo mafioso e dall’agevolazione mafiosa ai sensi dell’articolo 416-bis.1, potranno essere concesse proroghe fino ad un massimo di 3 anni per l’appello e un anno e 6 mesi per il giudizio di legittimità. In tali casi, dunque, la durata massima del giudizio in appello sarà di 5 anni e quella del giudizio in Cassazione è di 2 anni e 6 mesi.

 

I termini di durata massima dei giudizi di impugnazione non si applicano nei procedimenti per delitti puniti con l’ergastolo e quando l’imputato vi rinunci.

Disposizione transitoria

È stato previsto, con una disposizione transitoria, che le nuove norme in materia di improcedibilità trovino applicazione solo nei procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020.

 

Per questi procedimenti, peraltro, se l’impugnazione è proposta entro la fine del 2024, i termini di durata massima dei giudizi saranno rispettivamente di 3 anni per l’appello e di 1 anno e mezzo per il giudizio di Cassazione.

 

https://www.studiocataldi.it/articoli/42547 -il-nuovo-processo-penale-in-10-punti.asp

 

Riforma processo penale: ok della Camera alla fiducia

Lucia Izzo | 03 ago 2021

Doppia fiducia della Camera al Governo sulla riforma del processo penale. Il testo ora passa al Senato dove verrà esaminato dopo la pausa estiva. Tutte le novità e il testo approvato

Riforma processo penale ok della Camera

È datata 29 luglio 2021 l’ultima modifica apportata dal Consiglio dei Ministri al testo di riforma del processo penale, già approvato due volte all’unanimità dallo stesso Governo. Un nuovo vertice resosi necessario in virtù della fibrillazione creatasi intorno ad alcuni delicati snodi della riforma tra cui quello dell’improcedibilità.

Raggiunta l’intesa sul punto tra le forze politiche, il disegno di legge A.C. 2435 “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello” (qui sotto allegato) è stato poi approvato in Commissione Giustizia il 30 luglio ed è poi approdato all’esame della Camera dove l’esame è iniziato nella giornata di ieri 1° agosto 2021. Il 2 agosto 2021, il testo, arrivato “blindato” in Aula, ha ricevuto doppia fiducia da parte della Camera, non senza polemiche e perplessità. La prima fiducia è stata posta sulle norme immediatamente operative della riforma (ed è stata votata con 462 sì, 55 no e 1 astenuto); la seconda, invece, sulla parte che prevede la delega al governo (tra cui rientrano le nuove misure sull’improcedibilità), ed ha ricevuto 458 voti a favore, 46 no e 1 astenuto.

Ora il testo passa al Senato dove verrà esaminato alla ripresa dei lavori parlamentari subito dopo la pausa estiva.

Cosa prevede la riforma del processo penale

Il provvedimento, come licenziato dalla Commissione Giustizia, si compone di 2 articoli:

– l’articolo 1 prevede una serie di deleghe al Governo, che dovranno essere esercitate entro un anno dall’entrata in vigore della legge;

– l’articolo 2 contiene novelle al codice penale e al codice di procedura penale, immediatamente precettive.

In generale, le disposizioni del disegno di legge sono riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l’esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Misure sono rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato. Una innovativa disciplina concerne la ragionevole durata del giudizio di impugnazione, del quale è prevista l’improcedibilità in caso di eccessiva durata.

La delega al Governo

Il Governo viene delegato ad adottare, entro un anno dall’entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi per la modifica del codice di procedura penale, delle norme di attuazione del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché delle disposizioni dell’ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, per la revisione del regime sanzionatorio dei reati, per l’introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa e di una disciplina organica dell’ufficio per il processo penale, con finalità di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale, nel rispetto delle garanzie difensive e secondo i princìpi e criteri direttivi previsti dallo stesso disegno di legge.

Gli schemi dei decreti legislativi verranno poi adottati su proposta del Ministro della giustizia (di concerto con altri dicasteri) e successivamente trasmessi alle Camere perché su di essi sia espresso il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari entro il termine di sessanta giorni dalla data della trasmissione decorso il quale i decreti possono essere emanati anche in mancanza dei pareri.

Il Governo si occuperà anche di decreti legislativi recanti le norme di attuazione delle disposizioni adottate nell’esercizio della delega e di coordinamento tra le stesse e le altre leggi dello Stato, anche modificando la formulazione e la collocazione di norme vigenti. Sarà possibile adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti emanati entro due anni dalla data di entrata in vigore dell’ultimo d.lgs. attuativo adottato.

Deflazione e accelerazione del processo penale

La finalità di deflazione e accelerazione è il faro attorno al quale si muove la riforma dei riti alternativi, finalizzati ad estenderne l’applicabilità e a renderli maggiormente appetibili, nonché gli effetti deflattivi anche per quanto riguarda il rito dibattimentale.

Riformati i riti alternativi

Per quanto riguarda il patteggiamento, qualora la pena detentiva da applicare superi 2 anni, si prevede che l’accordo tra imputato e pubblico ministero si estenda alle pene accessorie e alla confisca facoltativa e dovrà ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi.

 

Nel giudizio abbreviato si interviene sulle condizioni per l’accoglimento della richiesta subordinata a un’integrazione probatoria, prevedendone l’ammissibilità solo se l’integrazione risulta necessaria ai fini della decisione e se il procedimento speciale produce un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale. La pena inflitta verrà ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato.

 

Intervenendo sul procedimento per decreto si prevede l’estensione da 6 mesi a un anno, il termine a disposizione del PM per chiedere al GIP l’emissione del decreto, stabilendo che presupposto dell’estinzione del reato sia, oltre al decorso dei termini, anche il pagamento della pena pecuniaria e prevedendo che se il condannato rinuncia all’opposizione può essere ammesso a pagare una pena pecuniaria ridotta.

 

Più in generale il provvedimento intende aumentare le possibilità di accesso ai riti premiali a fronte del decreto del GIP che dispone il giudizio immediato e consentire all’imputato, in caso di nuove contestazioni in dibattimento, di richiedere l’accesso ai riti alternativi.

Giudizio dibattimentale

Con riguardo al giudizio dibattimentale, previste direttive specificamente rivolte all’obiettivo dell’accelerazione del procedimento, in base alle quali il Governo dovrà prevedere:

– che i giudici debbano fissare e comunicare alle parti il calendario organizzativo delle udienze;

– che le parti illustrino le rispettive richieste di prova nei limiti strettamente necessari alla verifica dell’ammissibilità delle stesse;

– il deposito delle consulenze tecniche e della perizia entro un termine congruo precedente l’udienza fissata per l’esame del consulente o del perito;

– che, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta. Quando la prova dichiarativa sia stata verbalizzata tramite videoregistrazione nel principio del contraddittorio” href=”https://www.studiocataldi.it/articoli/20439-il-principio-del-contraddittorio.asp” class=”keyword-link” style=”font-size: 14pt;”>contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice potrà disporre la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze.

Udienza filtro innanzi al giudice monocratico

Quanto alla disciplina dei procedimenti attribuiti alla competenza del giudice monocratico in cui non si fa luogo ad udienza preliminare e l’esercizio dell’azione penale avviene con citazione diretta a giudizio, la riforma prevede una sorta di “udienza filtro“.

 

Si tratta di un’udienza predibattimentale in camera di consiglio, da celebrare innanzi ad un giudice diverso da quello davanti al quale dovrà eventualmente tenersi il dibattimento, nell’ambito della quale il giudice dovrà pronunciare la sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna e potrà ricevere eventuali richieste di riti alternativi.

 

Laddove invece il procedimento superi questa fase, il giudice dovrà fissare la data della successiva udienza dibattimentale, dinanzi a un giudice diverso.

Impugnazioni

Esigenze di deflazione sono anche alla base della riforma riguardante il sistema delle impugnazioni. In particolare, per quanto riguarda il giudizio di appello, prevista l’estensione delle attuali ipotesi di inappellabilità delle sentenze (di proscioglimento e di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa; di condanna al lavoro di pubblica utilità) nonché l’ampliamento dell’ambito applicativo del concordato sui motivi in appello, tramite l’eliminazione di tutte le preclusioni all’accesso a tale istituto e la previsione dell’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi.

 

Per quanto riguarda invece il giudizio in Cassazione, si prevede che la trattazione dei ricorsi avvenga con contraddittorio scritto senza l’intervento dei difensori facendo salva la possibile richiesta delle parti di discussione orale. Dinanzi agli Ermellini è infine prevista l’introduzione di un ricorso straordinario per dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Condizioni di procedibilità e sanzioni sostitutive

Perseguono finalità deflattive anche gli interventi sulla disciplina delle condizioni di procedibilità: viene ampliato l’ambito di applicazione della procedibilità a querela e si potenziano gli istituti della non punibilità per tenuità del fatto e della messa alla prova. Si vuole così ridurre le ipotesi nelle quali il procedimento penale giunge al dibattimento.

In particolare, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto si estenderà ai reati puniti con pena edittale non superiore nel minimo a due anni, con la possibilità di prevedere eccezioni per specifici reati. L’accesso all’istituto sarà sempre precluso in caso di reati di violenza sulle donne e violenza domestica.

Prevista la revisione della disciplina delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria) ampliandone l’ambito di applicazione. Le nuove pene sostitutive, irrogabili entro il limite di 4 anni di pena inflitta, saranno direttamente applicate dal giudice della cognizione, alleggerendo così il carico dei giudici di esecuzione.

Digitalizzazione del processo penale

La Riforma mira anche alla promozione della digitalizzazione del processo penale e, più in generale, a un maggiore impiego delle nuove tecnologie con finalità di velocizzazione e risparmio, anche muovendo dall’esperienza fatta nel corso della pandemia con il processo da remoto.

Previsto, in tema di processo penale telematico, il principio della obbligatorietà dell’utilizzo di modalità digitali tanto per il deposito di atti e documenti quanto per le comunicazioni e notificazioni. Nonostante sia stabilito che l’implementazione del PPT avvenga gradualmente, attraverso una disciplina transitoria, il legislatore delegato dovrà prevedere solo in via di eccezione l’impiego di modalità non telematiche.

Si andrà a modificare il codice di rito affinché sia prevista la registrazione audiovisiva o l’audioregistrazione per documentare l’interrogatorio o l’assunzione di informazioni, ovvero la testimonianza. Ancora, andranno individuati casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all’atto del procedimento o all’udienza possa avvenire a distanza o da remoto.

A supporto del processo di digitalizzazione, si demanda al Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri per l’innovazione tecnologica e per la pubblica amministrazione, l’approvazione di un piano triennale per la transizione digitale della amministrazione della giustizia.

Garanzie difensive, tutela della vittima e giustizia riparativa

[Torna su]

Tra i principi ispiratori della delega emergono anche quelli volti a bilanciare le esigenze di velocizzazione del procedimento con il mantenimento di elevate garanzie difensive. Prevista all’uopo una modifica della disciplina delle notificazioni all’imputato: dovranno essere effettuate personalmente all’imputato solo la prima notificazione, con cui egli prende conoscenza del procedimento a suo carico, e quelle relative alla citazione a giudizio in primo grado e in sede di impugnazione; tutte le altre potranno essere effettuate al difensore di fiducia, al quale l’imputato dovrà comunicare i propri recapiti.

A tale novità si ricollega anche la nuova regolamentazione del processo in assenza, da adeguare al diritto UE (cfr. direttiva 2016/343). Viene dunque riaffermato il principio in base al quale si può procedere in assenza dell’imputato solo se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo sia volontaria. In mancanza, il giudice dovrà pronunciare sentenza inappellabile di non doversi procedere, chiedendo contestualmente che si proceda alle ricerche dell’imputato. Se e quando l’imputato sarà rintracciato, la sentenza menzionata sarà revocata e si fisserà nuova udienza per proseguire il processo.

Disciplina organica giustizia riparativa

La riforma include anche disposizioni per il rafforzamento degli istituti di tutela della vittima del reato e per l’introduzione di una disciplina organica sulla giustizia riparativa, anche in attuazione di direttive dell’Unione europea.

Per quanto riguarda quest’ultima, vengono dettati principi e criteri direttivi per introdurre una disciplina organica, con particolare riguardo alla definizione dei programmi, ai criteri di accesso, alle garanzie, alla legittimazione a partecipare, alle modalità di svolgimento dei programmi e alla valutazione dei suoi esiti, nelle diverse fasi del procedimento penale.

Con disposizioni immediatamente precettive, la riforma va anche a integrare alcune previsioni a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere introdotte con legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso), estendendone la portata applicativa anche alle vittime dei suddetti reati in forma tentata e alle vittime di tentato omicidio.

Un’ulteriore disposizione va a inserire tra i delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza quello di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Prescrizione e improcedibilità

Uno dei maggiori nodi, che ha generato una frattura in seno alla maggioranza, sono le disposizioni immediatamente prescrittive sulla disciplina della prescrizione dei reati e di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione.

Per quanto riguarda la prescrizione si punta a confermare la regola, introdotta con la legge n. 3/2019 (c.d. Spazzacorrotti), secondo la quale il corso della prescrizione del reato si blocca con la sentenza di primo grado, sia essa di assoluzione o di condanna. Escluso, invece, che al decreto penale di condanna, emesso fuori dal contraddittorio delle parti, possa conseguire l’effetto definitivamente interruttivo del corso della prescrizione.

Nei casi in cui la sentenza venga annullata, con regressione del procedimento al primo grado o ad una fase anteriore, la prescrizione riprenderà il suo corso dalla pronuncia definitiva di annullamento.

Improcedibilità per superamento limiti di durata

Ha fatto discutere tra le forze di maggioranza l’introduzione del nuovo art. 344-bis c.p.p. che riguarda l’istituto dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione fissati, a seguito del raggiungimento dell’intesa, in 2 anni per l’appello e un anno per il giudizio di Cassazione.

I giudizi non definiti entro tali termini rischiano la declaratoria per improcedibilità dell’azione penale. Viene introdotta, tuttavia, la possibilità di una proroga da parte del giudice che procede. Per tutti gli altri reati è ammessa solo una proroga di un anno per il giudizio di appello e di 6 mesi per il giudizio in Cassazione, sempre che ricorrano i motivi che giustificano la proroga. Si raggiunge così una durata massima di 3 anni per l’appello e di 1 anno e 6 mesi per il giudizio in Cassazione.

Per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso, di violenza sessuale aggravata e di traffico di stupefacenti, il termine base potrà essere prorogato, per ragioni inerenti la complessità del giudizio, con successive proroghe, senza limiti di tempo. Pertanto, non viene fissato un limite di durata per tali giudizi.

Per i delitti aggravati dal metodo mafioso e dall’agevolazione mafiosa ai sensi dell’articolo 416-bis.1, si potranno concedere proroghe fino ad un massimo di 3 anni per l’appello e un anno e 6 mesi per il giudizio di legittimità; in tali casi quindi la durata massima del giudizio diventa 5 anni in appello e 2 anni e 6 mesi in Cassazione.

I termini di durata massima dei giudizi di impugnazione non si applicano nei procedimenti per delitti puniti con l’ergastolo e quando l’imputato vi rinunci. Inoltre, con disposizione transitoria, è previsto che le nuove norme in materia di improcedibilità trovino applicazione solo nei procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020.

Per questi procedimenti, peraltro, se l’impugnazione è proposta entro la fine del 2024, i termini di durata massima dei giudizi sono rispettivamente di 3 anni per l’appello e di 1 anno e mezzo per il giudizio di Cassazione.

Scarica pdf D.D.L. Riforma Processo Penale

https://www.studiocataldi.it/articoli/31602- -la-giustizia-riparativa.asp

La giustizia riparativa

Lucia Izzo | 20 feb 2020

Cos’è la giustizia riparativa: origine, caratteristiche e applicazione della restorative justice che punta alla mediazione penale per risolvere i conflitti

di Lucia Izzo – Quando si parla di giustizia riparativa o rigenerativa (restorative justice in inglese) si fa riferimento a un paradigma di giustizia nato dal bisogno di un procedimento diverso rispetto a quello tradizionale dove la vittima assume un ruolo marginale e ad essere messo al centro dell’attenzione è l’autore del reato.

La restorative justice, infatti, punta sulla partecipazione attiva della vittima, del reo e della stessa comunità civile. In sostanza, anziché delegare allo Stato, sono gli stessi attori del reato a occuparsi di ovviare alle conseguenze del conflitto occupandosi della riparazione, della ricostruzione e della riconciliazione, con l’obiettivo non di punire ma di rimuovere le conseguenze del reato attraverso l’incontro tra le parti e con l’assistenza di un mediatore terzo e imparziale.

Indice:

Cos’è la giustizia riparativa

Le prime teorie, originate dalla crisi del sistema penale, si sono diffuse in Nord America grazie a movimenti sperimentali che ricercavano una soluzione alternativa alla pena carceraria. Difficile racchiudere la giustizia riparativa nel perimetro di una definizione univoca.

In ambito comunitario, tuttavia, è la direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che mira a fornirne una facendo riferimento a: “qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.”

L’obiettivo finale di questa prassi alternativa è dunque quello di guidare le parti, che vi abbiano volontariamente aderito, verso la risoluzione del conflitto e alla ricerca concorde di un’azione che funga da soluzione.

Dalla riparazione della relazione “infranta” dall’illecito ne giovano sia il reo, che dimostra di essere più del solo autore della condotta lesiva, sia la vittima, che potrà far emergere le proprie emozioni e mettere in chiaro i propri bisogni e interessi, sia in ultima battuta la stessa comunità sociale, in quanto viene risanata quella “frattura sociale” determinata dalla fiducia incrinata dal reo e dalla rottura di aspettative e legami sociali simbolicamente condivisi.

La mediazione penale

Il modello maggiormente compiuto di giustizia riparativa quale modalità di risoluzione dei conflitti è rappresentato dalla c.d. mediazione penale della cui definizione si occupa la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99, ovvero la fonte più importante e specifica riguardante questo strumento di risoluzione.

 

Tale procedimento “permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore)”.

 

Per avviare la mediazione penale, dunque, si rende necessario il consenso delle parti affinché la loro interazione conflittuale si spinga al punto da ricercare un accordo soddisfacente per entrambe risolutivo del conflitto. Necessaria all’uopo l’assistenza di un mediatore, terzo e neutrale, il quale promuova e agevoli l’attività di facilitazione usualmente nel rispetto di rigidi schemi e particolari standard.

 

L’obiettivo principale del procedimento, dunque, è quello di raggiungere un accordo tra le parti, senza che a decidere il giudizio sia una sentenza. Ricorrendo alla mediazione, senza i traumi che un procedimento penale necessariamente implica tra le pari, si possono raggiungere soluzioni in tempi indubbiamente più rapidi rispetto a quelli del processo e si possono trovare accordi validi e soddisfacenti per ambo le parti.

 

In tal modo, inoltre, si evitano non solo i rischi connessi al processo e al suo esito, ma si affrontano costi estremamente ridotti. Gli attori principali, la vittima e il reo, si “riappropriano” del proprio ruolo e il dialogo tra loro viene assicurato da una specifica figura professionale quale quella del mediatore.

La figura del mediatore

Per raggiungere gli obiettivi peculiari della mediazione penale, appare evidente il ruolo fondamentale assunto dal mediatore, ovvero un soggetto che ha il compito di “ricostruire una connessione” interrotta, facendo superare alla persona offesa dal reato la diffidenza nei confronti dell’autore, e promuovendo l’incontro in un ambiente di incontro e confronto dove entrambe le parti hanno pari diritti e doveri.

 

Il mediatore è una figura terza, imparziale, equiprossima alle parti e, pertanto, dovrà essere, in primis, un professionista con un’adeguata formazione specialistica in materia di gestione e risoluzione dei conflitti poiché si troverà a gestire la comunicazione tra due parti fortemente antagoniste

 

Il linguaggio del mediatore, infatti, è ben diverso da quello di giudici e avvocati e deve puntare al raggiungimento di una possibilità alternativa rispetto a quella offerta dalla aule giudiziarie.

 

Jacqueline Morineau, fondatrice del CMFM (Centre de Médiation et de Formation à la Médiation) descrive il mediatore con una metafora, quale “specchio che accoglie le emozioni dei protagonisti, per rifletterle“. Pertanto, per la Morineau il lavoro del mediatore è caratterizzato da accoglienza ed empatia.

La mediazione penale in Italia

Nonostante in Italia la mediazione penale sia ancora agli albori e le disposizioni attuative di essa davvero scarse, negli ultimi anni è emersa una maggiore attenzione per la giustizia riparativa, complici anche le continue spinte in tal senso da parte delle disposizioni comunitarie e internazionali.

 

Nel nostro paese, infatti, vige il principio della “obbligatorietà dell’azione penale”, ma in alcuni settori è stato possibile lo sviluppo di un sistema di mediazione: in particolare, è stato nell’ambito del processo minorile che l’intervento penale è stato ridisegnato allo scopo di fornire giustizia senza ricorrere al processo.

 

Il merito è anche delle singole realtà in cui la comunità ha ritenuto di spronare la partecipazione del minore, con l’ausilio di operatori specializzati, associazioni e organismi di volontariato, all’incontro con la vittima, affinché questi fosse in grado di comprendere il significato della propria azione e venga sollecitato a riparare con attività di volontariato alle proprie azioni responsabilizzandosi.

Mediazione penale in ambito minorile

Quanto al procedimento minorile, la mediazione penale ha trovato applicazione negli ultimi decenni grazie al D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (Codice processo penale minorile): gli spazi normativi nei quali si realizzano maggiormente le esperienze di mediazione sono quelli di cui agli artt. 9, 27 e 28 del d.P.R. ovvero l’ambito delle indagini preliminare, durante l’udienza preliminare o nel dibattimento, nell’attuazione della sospensione del processo e della messa alla prova.

 

Il procedimento penale minorile, infatti, è fortemente improntato alla rieducazione, a responsabilizzare e a determinare la crescita e la maturità del minore autore di reato affinché costruisca un’identità consapevole nelle relazioni. La mediazione, dunque, si rivela uno strumento per valorizzare tali finalità e, al contempo, dà voce alla vittima e alla dignità del suo dolore affinché sia garantita un’equa riparazione che, a sua volta, determina una riappacificazione sociale con l’autore.

 

I giovani autori del reato, infatti, sono invitati a riflettere e a scegliere di riparare la frattura provocata dalle proprie azioni, assumendosi le proprie responsabilità, e intraprendendo un percorso motivazionale teso al cambiamento dopo aver riconosciuto il disvalore delle proprie azioni: l’incontro e la riflessione conducono a un concreto impegno responsabile volto a comporre il conflitto generato dal reato.

 

Un documento curato dall’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile intende la mediazione penale minorile come “attività intrapresa da un terzo neutrale al fine di ricomporre un conflitto fra due parti (…) attraverso la riparazione del danno alla vittima o la riconciliazione fra vittima e autore del reato”. Per attività riparatoria può intendersi anche una riparazione che prescinde dal risarcimento del danno in senso stretto privilegiandone, invece, gli aspetti simbolici.

 

Particolare risalto è conferito particolare alla “terzietà” del mediatore, equiprossimo rispetto alle parti in causa, che, lungi dallo svolgere una funzione giudicante, faciliterà uno scambio improntato all’ascolto delle reciproche ragioni in uno spazio (sia fisico che temporale) finalizzato a ristabilire un ordine che risulti condiviso, contrattato fra le parti in causa anziché sovradeterminato.

 

In ambito minorile, la mediazione penale consente di raggiungere diversi obiettivi: stimola l’autore del reato al confronto con la conseguenza delle proprie azioni e gli permette di “riparare”; dà voce alla “vittima” consentendo di sviluppare un dialogo chiarificatore e di instaurare un nuovo tipo di relazione superando gli ostacoli normalmente interposti con il reo (paura, rancore, diffidenza, ecc.); promuove nella società nuovi modelli e valori atti a superare la contrapposizione ideologica e morale fra reo e vittima, e ad avvicinare maggiormente la comunità al problema della gestione della devianza.

Mediazione penale davanti al giudice di pace

La sperimentazione avviata nell’area minorile ha avuto ripercussioni anche in altri ambiti come dimostra l’introduzione nel procedimento innanzi al Giudice di Pace. In particolare, il d.lgs. 274/2000 (recante “Disposizioni in materia di competenza penale del Giudice di Pace”) è stato fondamentale nel passaggio da una giustizia rigidamente e rigorosamente retributiva, a una giustizia che riesce anche ad essere più vicina alle parti, a ricomporre le distanze e a risolvere i conflitti.

 

L’intervento del legislatore promuove una nuova strategia di gestione del reato. Infatti, nella relazione al d.lgs. 274/2000, il Ministero della Giustizia ha sottolineato l’importanza della “valorizzazione della conciliazione tra le parti come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti”.

 

L’art. 29 del provvedimento, difatti, consente al Giudice di Pace, quando il reato è perseguibile a querela, di promuovere la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio.

 

Alla conciliazione è dato ampio spazio poiché il Giudice di Pace è competente (per materia) per molti di quei reati c.d. bagatellari, procedibili proprio a querela di parte, in cui viene in rilievo una microconflittualità fra privati e che spesso non vede coinvolti interessi collettivi e, tuttavia, perdura per diversi anni.

 

Per questo il legislatore ha inteso favorire per quanto possibile il riavvicinamento tra le parti richiedendo al Giudice di Pace di promuovere non solo la riconciliazione, ma anche la riparazione e il risarcimento del danno. In tal modo, ove l’autore del reato si attivi per eliminare le conseguenze dannose del reato, dimostrando di aver proceduto alla riparazione del danno cagionato, sarà consentito al Giudice di Pace anche archiviare il procedimento o pronunciare una sentenza di proscioglimento (ex art. 35 del d.lgs. 274/2000).

Il Giudice onorario si colloca, in tal modo, quale punto di riferimento per un sistema di mediazione-riparazione atto ad assicurare la negoziazione e la gestione dei conflitti che si affianca alla giustizia formale una giustizia fondata sul consenso degli interessati.

 

https://www.studiocataldi.it/articoli/33807 -sentenza.asp

La sentenza

Valeria Zeppilli | 09 mar 2019

Cos’è la sentenza, come è disciplinata, qual è il suo contenuto, quante tipologie sono presenti nel nostro ordinamento e quando diventa definitiva

di Valeria Zeppilli – La sentenza è il provvedimento con il quale il giudice chiude un grado di giudizio, prendendo una decisione in merito alle questioni in fatto e in diritto oggetto della controversia che è stata sottoposta alla sua attenzione.

Indice:

Sentenza: la disciplina

In Italia non esiste una normativa organica e unitaria della sentenza, la cui regolamentazione va quindi ricercata nelle disposizioni che disciplinano le diverse tipologie di processo e, quindi, nel codice di procedura penale, nel codice di procedura civile e nel codice del processo amministrativo.

Va comunque detto che la Costituzione, all’articolo 111, detta due principi generali in ordine alle sentenze, laddove sancisce che “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati” e che “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”.

Il contenuto della sentenza

In ogni caso, può dirsi che tutte le sentenze sono accomunate da un’analogia di contenuto, in quanto esse si dividono in due parti: la motivazione e il dispositivo.

Quest’ultimo rappresenta la parte precettiva della sentenza, nella quale viene espressa la decisione del giudice.

La motivazione, invece, è la parte della sentenza in cui vengono espresse le ragioni a sostegno della conclusione alla quale è giunto il giudice.

Sentenza: le tipologie

Nel diritto processuale civile, la dottrina è solita distinguere le sentenze in tre differenti tipologie: dichiarative, di condanna e costitutive.

Le prime sono le sentenze, anche chiamate di mero accertamento, che non fanno altro che accertare una determinata realtà giuridica. Sono tali, ad esempio, i provvedimenti che respingono la domanda proposta dall’attore.

Le sentenze di condanna, invece, sono quelle che si chiudono con l’ordine alla parte soccombente in giudizio di fare, non fare o dare qualcosa.

Le sentenze costitutive, infine, sono quelle che creano, modificano o estinguono un rapporto giuridico. Sono tali, ad esempio, le sentenze che annullano un certo atto in quanto illegittimo.

Tutte accertano una determinata realtà giuridica.

Passaggio in giudicato della sentenza

Con l’emanazione di una sentenza, il giudice chiude la fase di giudizio di sua competenza.

Eccezion fatta per le sentenze della Corte di cassazione, è possibile impugnare la sentenza aprendo un nuovo grado di giudizio, che si svolge dinanzi al giudice collocato nel grado superiore della gerarchia giudiziaria. Questa fase si conclude con una nuova sentenza che potrà confermare o riformare in tutto o in parte la precedente.

Se la sentenza non è impugnata nei termini prescritti dal nostro ordinamento o non è impugnabile (come la sentenza della Corte di cassazione), la stessa passa in giudicato. Il passaggio in giudicato determina l’impossibilità per le parti di riaprire il processo e modificarne la ricostruzione dei fatti e l’esito. Il contenuto della sentenza passata in giudicato è definitivo e le parti sono quindi tenute ad adeguarvisi.

Per approfondimenti vai alla guida La cosa giudicata formale e sostanziale

https://www.studiocataldi.it/guide_legali/guide -procedura-penale/patteggiamento.asp

Il patteggiamento

Il patteggiamento (tecnicamente “applicazione della pena su richiesta delle parti”) è un procedimento speciale disciplinato dagli artt. 444 e ss.

 

Il patteggiamento: cos’è

Il patteggiamento consiste in un accordo tra l’imputato e il Pubblico Ministero circa l’entità della pena da irrogare.

Come recita il primo comma dell’art. 444:

“L’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria”.

In sostanza con il patteggiamento l’imputato ottiene uno “sconto” della pena fino al limite di un terzo, ma rinuncia anche a far valere la propria innocenza.

Oggetto del patteggiamento

Più precisamente, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. l’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione:

  • di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria diminuita fino ad un terzo;
  • di una pena detentiva che, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo, non superi i cinque anni.

Limiti ed esclusioni

Il patteggiamento, innanzitutto è ammesso solo entro determinati limiti e non è applicabile per alcuni reati.

Lo stesso art. 444 cpp limita l’applicabilità del patteggiamento quando una pena detentiva (tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo) superi i cinque anni.

In base al secondo comma sono poi esclusi dal patteggiamento una serie di procedimenti come quelli relativi a delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale di gruppo e, comunque, tutti quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza o recidivi qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

Nei procedimenti previsti per altri delitti, come ad esempio quelli di peculato o concussione, la richiesta di patteggiamento è ammissibile solo se sono stati integralmente restituiti il prezzo o il profitto del reato.

Inoltre si rammenta come la giurisprudenza di legittimità sia pervenuta ad ammettere che in materia di patteggiamento, così come sopra definito, l’eventuale richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, richiesta dal prevenuto che abbia già beneficiato della stessa in occasione di precedente condanna, implica il consenso alla subordinazione della misura all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, comma primo, cod. pen., dal momento che, imprescindibilmente e per espressa prescrizione normativa, il giudice deve necessariamente disporre a norma del secondo comma del medesimo articolo (Cassazione n. 13534/2017).

Richiesta subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena

L’ultimo comma dell’art. 444 cpp prevede anche la possibilità per la parte che formula la richiesta di patteggiamento di “subordinarne l’efficacia alla concessione della sospensione condizionale della pena“. Se ciò avviene, il giudice che ritiene che la sospensione condizionale non possa essere concessa rigetta la richiesta (art. 444 ul. co. c.p.p.).

Tempo della richiesta di patteggiamento

La richiesta di patteggiamento può essere formulata già durante lo svolgimento delle indagini preliminari e, quindi, anche prima dell’azione penale (art. 447 c.p.p.). Essa, tuttavia, non può intervenire dopo la chiusura dell’udienza preliminare, che funge da cd. sbarramento finale (art. 446 c.p.p.).

Tuttavia, se il P.M. attiva unilateralmente altri riti, la richiesta di patteggiamento resta ammissibile, purché formulata tempestivamente.

Di conseguenza, sono previsti termini diversi se la richiesta avviene nel corso del giudizio direttissimo (nel qual caso potrà essere formulata fino all’apertura del dibattimento), del giudizio immediato (nel qual caso potrà essere formulata entro 15 giorni dalla emissione del decreto che dispone il giudizio immediato) o del procedimento per decreto penale (nel qual caso potrà essere formulata con l’opposizione).

L’accordo delle parti

L’esperibilità del procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti necessita dell’accordo delle parti, con la precisazione, tuttavia, che il dissenso del P.M. (che, ai sensi dell’articolo 446, comma 6, del codice di rito, va motivato) non impedisce che venga applicata la riduzione di pena se il giudice lo ritiene ingiustificato e reputa congrua la pena, mentre il dissenso dell’imputato rispetto alla proposta unilaterale di patteggiamento formulata dal P.M. non è sindacabile.

Una volta che le parti abbiano prodotto al giudice il proprio accordo o che il P.M. abbia formulato dinanzi a tale organo la propria proposta unilaterale di patteggiamento, questi divengono irrevocabili.

Esempio di patteggiamento

Per comprendere meglio in cosa consiste il patteggiamento immaginiamo il caso di un soggetto, incensurato, fermato per la prima volta mentre si trova alla guida in stato di ebbrezza penalmente rilevante.

Lasciando in secondo piano le conseguenze amministrative, soffermiamoci su quelle penali.

Il PM, in casi come questi, chiede frequentemente l’emissione di un decreto penale di condanna.

Ricevuto il decreto e sussistendone i presupposti, l’imputato potrà fare opposizione entro 15 giorni e attivare, tra le altre cose, anche il procedimento di applicazione della pena su richiesta.

In questo caso egli potrà domandare la conversione della pena in lavori di pubblica utilità, ad esempio utilizzando tale formula all’interno dell’istanza:

“CHIEDE la definizione del procedimento penale _______ attraverso l’applicazione su richiesta delle parti della pena di giorni ___ di arresto (convertibile, ai sensi dell’art. 53 l. n. 689/1991, nella pena pecuniaria di Euro _______, pari a Euro ______/giorno) e di Euro _____ di ammenda, sostituita ex art. 186, co. 9 bis, c.d.s. in n. ____ ore di lavoro di pubblica utilità determinata nel seguente modi:

– pena base _________;

– sola ammenda aumentata ad Euro _____ ex art.186, co. 2-sexies. c.d.s.;

– pena ridotta a Euro _____ di ammenda e n. __ giorni di arresto ex art.62 bis c.p.;

– pena ridotta a Euro _____ di ammenda e n. __ giorni di arresto ex art. 444, co.1, c.p.p.;

– pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità da svolgersi nei modi che il giudice stabilirà in sentenza per n. ___ ore (n. ____ giorni di arresto – pari a n. ____ ore di lavoro di pubblica utilità – e Euro _____ di ammenda – pari a n. ____ ore di lavoro di pubblica utilità, ex art. 54, co. 5, d.lgs. n. 54/2000)”

Che cosa succede dopo la richiesta?

Fatta la richiesta possono verificarsi cinque diverse ipotesi.

  • Il PM presta il consenso. Il giudice procede al giudizio e decide di applicare la pena richiesta con il patteggiamento. A tal proposito si precisa che la sentenza non può essere appellata ma è solo ricorribile per Cassazione.
  • Il PM non presta il consenso. Il giudice prende atto di ciò e procede al giudizio. All’esito può comunque applicare la pena richiesta con il patteggiamento, se la ritiene congrua.
  • Il Giudice ritiene non congrua la pena proposta e rigetta l’istanza.
  • Il Giudice ritiene che la qualificazione giuridica del fatto reato sia sbagliata e rigetta l’istanza, posto che non è possibile modificare in via negoziale la qualificazione giuridica del fatto.
  • Il Giudice ritiene che la prova del fatto di cui all’imputazione sia carente.

Poteri del giudice e decisione

Il giudice al quale è presentata la proposta di patteggiamento può esclusivamente accogliere o rigettare la richiesta, mentre non ha assolutamente il potere di modificare o integrare l’accordo cui sono pervenute le parti, né decidere sulla base di atti diversi da quelli di indagine, già acquisiti al fascicolo del P.M.. Il procedimento è quindi cartolare e la presenza delle parti all’udienza in Camera di consiglio fissata per la decisione è meramente facoltativa.

La decisione

Per addivenire a una pronuncia di accoglimento il giudice, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., deve verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e dell’applicazione e della comparazione delle circostanze prospettate dalla parti e la congruità della pena indicata e, in ogni caso, deve controllare che non sia stata pronunciata sentenza di proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p..

La decisione in merito al patteggiamento è assunta dal giudice con sentenza impugnabile solo con ricorso per Cassazione.

Giurisprudenza

La giurisprudenza è chiamata spesso a confrontarsi in tema di patteggiamento.

Qui di seguito si riportano alcune rilevanti e recenti massime:

Cassazione penale n. 11620/2021

In relazione al delitto di omesso versamento dell’Iva, l’estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento, da effettuarsi prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità del patteggiamento ai sensi dell’art. 13-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto l’art. 13, comma 1 configura detto comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto, e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili.  

Cassazione penale n. 9990/2017

L’art. 444 c.p.p., comma 1 ter, per il chiaro riferimento a condotte riparatorie per un verso volontariamente adottate anche al di fuori di qualsiasi intervento giudiziale prescrittivo, e per l’altro temporalmente precedenti la richiesta di applicazione pena e anche, in ipotesi, allo stesso sorgere del procedimento, enuncia una condizione meramente processuale di ammissibilità del rito speciale in argomento e si colloca conseguentemente nell’ambito delle norme a natura esclusivamente procedimentale.

Cassazione penale n. 644/2017

In sede di patteggiamento le parti possono liberamente concordare la revoca della sospensione condizionale della pena, trattandosi di beneficio pienamente rinunciabile dall’imputato o dal suo difensore munito di procura speciale, incidendo la misura della sospensione, ai sensi dell’art. 168 cod. pen., sul trattamento sanzionatorio.

Cassazione penale n. 2525/2016

L’applicazione concordata della pena postula la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato.

Vedi anche: Patteggiamento art. 444 c.p.p., limiti di applicazione e giurisprudenza

Data: 18 maggio 2021

Riforma processo penale: ok della Camera alla fiducia
Allegato_ Processo Penale_ Disegno di Legge